Dottor Mazzilli, lei è titolare della stazione sperimentale per la viticoltura sostenibile, la stessa che ha dato vita a un’eccellenza: il Biodistretto del Greve in Chianti, nato –
potremmo dire - per una curiosa casualità. Vuole raccontarcela?
In pratica abbiamo trasformato un’avversità in un’opportunità. Nel 2005 a Greve in Chianti viene applicato il Decreto di Lotta Obbligatoria allo “Scaphoideus titanus”, vettore della
Flavescenza Dorata (malattia che ha causato danni enormi ai vigneti in altre regioni). L’unione Viticoltori di Panzano in Chianti (Associazione privata fondata nel 1995 dai produttori locali)
si rivolge a me per sapere che fare e, insieme, decidiamo che prima di cominciare i trattamenti bisognava fare un monitoraggio del vettore e delle piante sintomatiche su tutto il territorio
(grazie al supporto scientifico del CRA di Firenze e dell’Università di Pisa).
Così abbiamo evitato l’uso di insetticidi che, oltre a essere inutili in assenza di un reale rischio epidemico (come di fatti è stato poi verificato), sarebbero stati anche molto dannosi per
l’ambiente e la salute umana.
Negli anni successivi, oltre a continuare il monitoraggio, abbiamo applicato il controllo territoriale anche alle altre malattie della vite con l’obiettivo di diffondere la coltivazione bio
che oggi a Panzano supera l’80% delle superficie vitata.
Abbiamo creato una rete di rilevamento dati meteo e facciamo molta sperimentazione in campo in collaborazione con vari Istituti di Ricerca.
Abbiamo ottenuto dagli Enti Locali che nelle strade del nostro territorio non fosse più praticato il diserbo chimico degli argini (esempio poi seguito anche da altri comuni) e il 5 luglio
2012 è stata riconosciuta ufficialmente la nascita del Biodistretto.
Alla base del progetto c’è un’idea di sviluppo innovativa. In cosa differisce da quella tradizionale?
L’Azienda che fa Bio da sola ha due grossi problemi: l’uva è contaminata dalla deriva dei trattamenti fatti nei vigneti confinanti (si applica il metodo bio ma il prodotto non è bio!) e,
combattere le malattie all’interno dei propri vigneti, senza sapere cosa succede in quelli vicini, è più difficile e inevitabilmente si fanno più trattamenti di quanti ne servano realmente.
Questo perché i funghi e gli insetti si muovono nel territorio senza far caso a dove cominciano o finiscono le diverse proprietà: solo se si impara da loro, organizzando una strategia su
tutto il comprensorio, si può veramente ridurre l’impatto ambientale e avere molte più garanzie di una protezione efficace per ogni singola Azienda. Possiamo senz’altro dire che la strategia
più elevata della viticoltura sostenibile è sicuramente il bio territoriale.
Quella del Biodistretto sarebbe un’esperienza esportabile o replicabile anche in altri contesti e/o segmenti? Quali caratteristiche sono però necessarie perché abbia
successo?
Il Biodistretto è lo strumento per far capire alla gente che i veleni chimici uccidono e che l’agricoltura biologica funziona.
Alla base deve esserci un gruppo coeso e determinato e la capacità di ottimizzare tutte le risorse territoriali umane e strutturali disponibili. Una grande sollecitazione deve venire dalla
popolazione locale che non si occupa direttamente di una particolare attività produttiva (mamme e pensionati, artigiani e dipendenti pubblici…). Servono fatti concreti per documentare e
dimensionare il problema ambientale locale, servono esperti che ne analizzino cause e possibili soluzioni senza fanatismi e con molta concretezza.
Noi speriamo di aver dato un piccolo esempio di rivoluzione democratica che parte dal basso. Non abbiamo lanciato sfide o litigato con nessuno, ma semplicemente dimostrato con i fatti che il
nostro modo di fare funziona ed è vincente. In questo modo abbiamo convinto tantissime Aziende a seguirci.
Il biologico ancora oggi è tacciato da alcuni di essere un figlio del marketing…lei invece sostiene che maggiori qualità ed ecocompatibilità innescano anche una maggiore redditività.
In che modo?
In viticoltura (come in ogni altro settore) quello che conta e che costa è fare qualità, perchè senza qualità (a diversi livelli) non si produce niente di intelligente e interessante per il
mercato. Il metodo bio ti insegna a lavorare meglio (che è l’unico modo per fare qualità) perché può castigarti o premiarti secondo dove e come coltivi le tue vigne. Lavorare meglio non costa
di più e sicuramente ti permette di valorizzare al massimo gli investimenti e ottenere i risultati attesi: più qualità e quantità ogni anno, maggior durata dei vigneti.
Ormai il Biodistretto del Greve in Chianti ha radici così solide da diventare arma contro chi vuole, nello stesso territorio, costruire un inceneritore. Quale alternativa
proponete?
Il Progetto Rifiuti Zero è il nostro riferimento per questi problemi. Anche il Comune di Greve in Chianti vi ha aderito. In particolare a noi interessa creare efficaci stazioni di
compostaggio della biomassa di tutti i sottoprodotti e scarti dell’agricoltura locale.
Ci sono altri progetti cui la stazione sperimentale sta lavorando in cui confida particolarmente?
Tantissimi. Oltre a promuovere la nascita di altri Biodistretti (già approvato quello di San Gimignano e in via di completamente a Gaiole in Chianti) per unirli poi in un’unica grande area
Bio, la sperimentazione è la ragione per cui è nata la Spevis (www.spevis.it).
I nostri progetti sono finalizzati a creare strumenti operativi per migliorare le nostre strategie colturali: ad esempio la creazione di una rete wireless per monitorare i dati meteo nei vari
punti critici all’interno dei vigneti con trasmissione di immagini dirette dello sviluppo vegetativo (in collaborazione col Politecnico di Torino).
Da anni stiamo lavorando per migliorare la conoscenza e l’uso dei suoli (con l’Associazione VinNatur). Con l’Università di Firenze e altri Ricercatori organizziamo ogni anno prove
sperimentali per verificare l’efficacia di varie molecole naturali alternative a rame e zolfo. Ci occupiamo anche della messa a punto di specifiche attrezzature meccaniche e sempre più ci
dedichiamo alla formazione pratica del personale (sia a livello di tecnici, sia soprattutto di operatori di campagna).
La dimostrazione concreta della soluzione dei problemi fitoiatrici permette di offrire gli strumenti necessari a chi ha paura che rinunciando ai veleni chimici possa mettere in pericolo il
suo raccolto. In questo gioca un ruolo ancor più importante la testimonianza diretta del suo vicino che è felicemente già passato al Bio.